Uno degli effetti della crisi climatica è l’innalzamento delle temperature con la conseguenza che i ghiacciai si stanno sciogliendo a ritmi ormai stabili. Lo scioglimento dei ghiacciai porta a sua volta ad altre conseguenze; dalla perdita delle riserve d’acqua necessarie per la nostra sopravvivenza, all’innalzamento del livello dei mari, fino ad un’ultima conseguenza spaventosa.
Stiamo parlando della riemersione di batteri, microorganismi ma anche virus rimasti intrappolati nei ghiacci da migliaia di anni. E sono proprio questi ultimi a preoccupare perché proprio pochi giorni fa è stato scoperto un virus di 50.000 anni fa ancora infettivo.
Il virus zombie riemerso dal ghiaccio
Jean-Michel Claverie dell’Istituto di Microbiologia, Bioenergia e Biotecnologia presso l’Università di Aix – Marsiglia (Francia), ha lanciato l’allarme sul rischio di questa conseguenza dello scioglimento dei ghiacciai.
Nel suo ultimo studio il dottor Jean-Michel Claverie ha scoperto 13 nuove specie di virus zombie che si attestano a 27.000 e 50.000 anni fa. Virus che erano rimasti silenti sotto al permafrost, contenuti in carcasse animali, e che fino ad ora rimanevano innocui.
Tra queste 13 specie una in particolare, risalente a 48.500 anni fa dal nome scientifico Pandoravirus yedoma, ai test di laboratorio è risultata ancora attiva e capace di infettare altri organismi.
“Sta rilasciando materia organica congelata fino a un milione di anni, la maggior parte della quale si decompone in anidride carbonica e metano, aumentando ulteriormente l’effetto serra. Parte di questa materia organica è costituita anche da microbi cellulari rianimati (procarioti, eucarioti unicellulari) e da virus che sono rimasti dormienti sin dalla preistoria”, hanno spiegato il professor Claverie.
Il nostro sistema immunitario non sarebbe pronto
La preoccupazione è alta poiché il nostro sistema immunitario non sarebbe capace di contrastare dei virus così diversi rispetto a quelli più comuni con cui si è abituati a venire in contatto tutt’oggi.
Ecco come la microbiologa Birgitta Evengård, professoressa emerita presso il Dipartimento di microbiologia clinica dell’Università di Umea (Svezia), ha spiegato il fenomeno ai microfoni della BBC.
“Dovete ricordare che la nostra difesa immunitaria è stata sviluppata a stretto contatto con l’ambiente microbiologico. Se c’è un virus nascosto nel permafrost con cui non siamo stati in contatto per migliaia di anni, è possibile che la nostra difesa immunitaria non sia sufficiente. È giusto avere rispetto per la situazione ed essere proattivi e non solo reattivi. E il modo per combattere la paura è avere conoscenza. Vediamo questi virus che infettano l’ameba come surrogati di tutti gli altri possibili virus che potrebbero trovarsi nel permafrost”.