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Boom di cause per tutelare l’ambiente: più di 2000 in soli cinque anni


(Adnkronos) – Dal 2017 al 2022 il numero totale di cause sui cambiamenti climatici è più che raddoppiato passando dalle 884 cause che erano state individuate nel 2017 alle 2.180 raggiunte nel 2022. Lo rivela il rapporto Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review pubblicato da Unep (il programma della Nazioni Unite per l’ambiente) dal Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University.  


Il rapporto analizza la climate litigation, ovvero il fenomeno delle azioni legali avanzate per contrastare il cambiamento climatico. Chi agisce in giudizio può farlo per diversi scopi: imporre a governi o aziende determinati standard per limitare le emissioni di gas serra, bloccare progetti specifici che rischiano aumentare le emissioni, chiedere il risarcimento del danno derivante dal climate change, e simili. 


L’aumento esponenziale delle cause per tutelare l’ambiente denota la maggiore sensibilità della società sul tema e consente di creare una prassi giuridica in ambito Esg. In questo modo, la giurisprudenza può parzialmente colmare i vuoti normativi lasciati in materia dalle istituzioni. 


“Le persone si stanno rivolgendo sempre più ai tribunali per combattere la crisi climatica, ritenendo i governi e il settore privato responsabili e facendo del contenzioso un meccanismo chiave per garantire l’azione per il clima e promuovere la giustizia climatica”, ha commentato Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’Unep.  


È di pochi giorni fa la notizia dei 16 giovani attivisti climatici che hanno vinto nella causa Held v. Montana, impugnata contro lo Stato del Montana (Usa). Il 14 agosto 2023 la giudice Kathy Seeley ha stabilito che non valutare l’impatto ambientale dei progetti minerari e di combustibili fossili “viola il diritto a un ambiente pulito e salubre”, garantito dalla Costituzione del Montana. 


In particolare, il giudice ha dichiarato incostituzionali due recenti leggi che avrebbero impedito alle agenzie statali di valutare gli effetti climatici di progetti sui combustibili fossili. 


“Mentre gli incendi infuriano negli Stati Uniti occidentali, alimentati dall’inquinamento da combustibili fossili, questa sentenza è un punto di non ritorno che segna una svolta per gli sforzi di questa generazione per salvare il pianeta dagli effetti devastanti del caos climatico causato dall’uomo” ha affermato Julia Olson, direttrice esecutiva dello studio legale no profit Our Children’s Trust, che ha rappresentato in tribunale i giovanissimi sedici querelanti con un età compresa tra i 5 e i 22 anni. 


Particolarmente interessante per capire i criteri che potrebbero animare le prossime sentenze è la motivazione data dalla giudice Seeley, secondo cui i querelanti “hanno provato che in quanto bambini e giovani sono sproporzionatamente colpiti dall’inquinamento dei combustibili fossili e dagli impatti sul clima”.  


Si tratta di un precedente destinato a tracciare il solco della climate litigation non solo negli Usa ma nel mondo. 


Sebbene la maggior parte delle cause sia stata intentata negli Stati Uniti, il contenzioso sul clima si sta espandendo in tutto il mondo: circa il 17% dei casi attualmente segnalati sono stati intentati nei Paesi in via di sviluppo, compresi i piccoli Stati insulari che più di tutti sono minacciati dagli effetti del cambiamento climatico.  


Le azioni legali di climate litigation sono state intentate in 65 organismi in tutto il mondo: tribunali, corti regionali, nazionali e internazionali, arbitri, organismi paragiudiziari e altri organi giudicanti, comprese le procedure speciali delle Nazioni Unite. Come spiega il rapporto, bambini e giovani, gruppi di donne, comunità locali e popolazioni indigene stanno assumendo un ruolo di primo piano nella climate litigation e nel promuovere la riforma della governance del cambiamento climatico.  


“Il divario tra il livello di riduzione dei gas serra di cui il mondo ha bisogno per raggiungere gli obiettivi di temperatura e le azioni che i governi stanno effettivamente intraprendendo per ridurre le emissioni è sempre più preoccupante. Questo inevitabilmente porterà sempre più persone a ricorrere ai tribunali. Questo rapporto sarà una risorsa preziosa per tutti coloro che vogliono ottenere il miglior risultato possibile nelle sedi giudiziarie e capire cosa è possibile o meno fare”, ha dichiarato Michael Gerrard, direttore di facoltà del Centro Sabin, autore dello studio. 


In molti casi, visti gli scarsi risultati ottenuti dalla politica, agire in giudizio resta l’unica alternativa concreta per tutelare l’ambiente e le comunità più a rischio. Il report dimostra come i tribunali stiano privilegiando i legami con i diritti umani in relazione ai cambiamenti climatici, spingendo governi e imprese ad agire in maniera più trasparente e perseguire obiettivi più ambiziosi per contrastare il cambiamento climatico. 


Per questo, si può affermare che la climate litigation sia il punto di contatto tra le tre lettere della sigla Esg (environment, social e governance). I gruppi vulnerabili sono molto ascoltati a livello globale: 34 cause sono state intentate da e per conto di bambini e giovani sotto i 25 anni, tra cui bambine di 7 e 9 anni rispettivamente in Pakistan e in India, mentre in Svizzera i querelanti stanno facendo valere l’impatto sproporzionato del cambiamento climatico sulle donne anziane.  


Il rapporto Unep è stato lanciato in concomitanza con l’anniversario del riconoscimento da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del diritto umano a un ambiente pulito, sano e sostenibile (risoluzione Onu 28 luglio 2022) proprio poiché la maggior parte dei casi portati dinanzi ai tribunali dimostrano collegamenti concreti tra diritti umani e cambiamento climatico. 


Chiaramente l’oggetto delle cause è molto variabile: c’è chi contesta le decisioni dei governi per incompatibilità con gli impregni presi a livello internazionale e chi cita in giudizio direttamente le aziende più inquinanti, spesso quelle produttrici di combustibili fossili e altri emettitori di gas a effetto serra.  


Secondo il rapporto, la maggior parte delle controversie in corso in materia di clima rientra in 6 categorie: 


1) cause che si basano sui diritti umani sanciti dal diritto internazionale e dalle costituzioni nazionali; 


2) sfide alla mancata applicazione delle leggi e delle politiche nazionali in materia di clima; 


3) controversie finalizzate a mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo; 


4) richieste di maggiore trasparenza sul clima e di porre fine al greenwashing; 


5) cause che riguardano la responsabilità delle imprese per i danni al clima; 


6) cause che riguardano il mancato adattamento agli impatti del cambiamento climatico. 


Il rapporto Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review fa una previsione di quali saranno le tematiche più frequenti nelle cause del futuro dove mette al primo posto la migrazione climatica e quindi le cause intentate dalle popolazioni indigene, dalle comunità locali e da altri gruppi colpiti dalla crisi climatica in maniera sproporzionata rispetto al loro impatto ambientale. 


Secondo l’Unep, aumenteranno anche le cause volte a far valere la responsabilità a seguito di eventi meteorologici estremi e le cosiddette “cause di ritorno”: le aziende o gli enti citati in causa agiranno contro i contendenti cercando di cancellare le normative che promuovono l’azione per il clima.