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L’industria discografica mostra segnali di ripartenza

L’industria discografica mostra segnali di ripartenza dopo 15 anni. In estrema sintesi è quanto emerge dal Rapporto sull’Industria discografica elaborato dell’Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena.  È  una rivoluzione, quella del mercato discografico, generata dalla tecnologia che impone il passo alla distribuzione e alle grandi case produttrici, in un mondo dove la pirateria pesa quanto e più del legale.


Le vendite globali sono passate da circa 28 miliardi di dollari nel 1998 a 15 miliardi nel 2014, con un calo complessivo di poco meno del 50% in  soli 15 anni:  i risultati sarebbero stati ancora più negativi senza il contributo della musica digitale fornita dai downloads, i servizi  in streaming e i siti internet come YouTube, che sono cresciuti a doppia cifra dal 2006 in poi. Nel suo complesso il mercato è stato in contrazione anche durante gli ultimi anni, perché il digitale non è stato sufficiente a compensare il calo delle vendite dei CD. I dati mostrano chiaramente che dal 2000 in poi si è avuta la vera e propria crisi della vendita dei dischi: le conseguenze sono state quelle di un’accelerazione del processo di ristrutturazione dell’industria che era già stato avviato. Oggi sono rimaste solo 3 majors rispetto alle dodici che esistevano negli anni ottanta.


In sostanza, la struttura del mercato discografico rimane fortemente concentrata nella distribuzione, sia a livello paese, che a livello aziendale: infatti Giappone e Stati Uniti d’America realizzano vendite pari a poco meno del 50% del totale mondiale mentre le 3 majors detengono ancora oggi circa l’80% del mercato.


Contestualmente al declino dell’industria discografica tradizionale le nuove tecnologie hanno permesso la nascita di un gran numero di etichette indipendenti, autonome nella produzione e distribuzione della musica, che sono circa 800 nel solo Regno Unito,  4000 in Europa e  8000 nel mondo. Grandi i passi avanti compiuti dalla tecnologia durante l’ultimo decennio: dopo il CD musicale, nato nel 1982, le nuove forme digitali  di fruizione della musica passano oggi attraverso il computer e il telefono cellulare, con il download e lo streaming.  Si stima che ci siano ormai oltre 7 miliardi di telefoni mobili (cellulari) nel mondo, e di questi, circa 1,75 miliardi sono smartphone, è proprio la rete la più importante infrastruttura “aperta” per la distribuzione della musica, basta pensare alla crescita dei social network  e dei servizi dedicati come YouTube, che hanno permesso al pubblico di ascoltare più musica a prezzi sempre più bassi.


Un problema molto serio e di difficile soluzione per l’industria è quello della pirateria: prima la duplicazione illegale dei CD, poi la rivoluzione determinata dalla rete (internet) hanno causato ed aggravato il fenomeno perché dall’avvento degli Mp3  in poi la musica è divenuta gestibile immediatamente su file con la possibilità di essere trasmessa ad altri utenti  in maniera telematica. Svincolandosi dal supporto fisico, la musica è diventata immateriale. L’esplosione del commercio dei CD illegali si è avuto a cavallo dell’anno 2000 tra Asia Est Europa: secondo alcune stime di settore (fonti computerdjsummit.com e Pew Internet & American Life Project survey) pare che Hong Kong abbia prodotto 2 miliardi di CD illegali nel 1999 contro i 600 mila del 1998, mentre nel 2005, ben 36 milioni di cittadini degli USA  avevano illegalmente scaricato contenuti audio e video. Il caso Napster – il portale che permetteva il libero scambio dei file musicali –  ha fatto scuola, e ha segnato il punto di non ritorno per l’industria del disco, che ha cercato di tutelarsi maggiormente anche se per sua natura questo fenomeno non può essere totalmente debellato.


Per il mercato e gli artisti la fase attuale è interessante: la grande crisi sembra ormai avere già avuto tutto il suo effetto e le nuove basi tecnologiche hanno contribuito a favorire la diffusione della creatività, perché oggi i giovani artisti possono autoprodursi e distribuire la propria musica con una spesa modesta in rapporto agli investimenti che si sarebbero resi necessari nell’era del vinile.  L’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’inerzia delle case discografiche principali che ormai non investono più nello sviluppo delle carriere dei nuovi artisti e che preferiscono puntare su cantanti e gruppi già consolidati.