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“Monsters” arriva su Netflix: la storia vera dietro la nuova serie di cui tutti parlano


“Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez” è il nuovo capitolo della serie antologica di Netflix creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, che si concentra su casi di cronaca nera realmente accaduti. Dopo il successo della discussissima serie su Jeffrey Dahmer, uscita nel 2022, questa volta la narrazione si sposta sui fratelli Menendez, colpevoli di uno degli omicidi più scioccanti della storia americana.


I dettagli della nuova serie “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”


La serie non si limita a esplorare gli eventi tragici che portarono agli omicidi, ma cerca di scavare più a fondo nel contesto familiare, evidenziando il presunto abuso che avrebbe segnato la vita dei fratelli. L’obiettivo di “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez” è offrire una prospettiva completa e complessa, lontana dalla semplificazione che spesso caratterizza i casi di cronaca nera.


La serie Netflix, prodotta dal duo Ryan Murphy e Ian Brennan, presenta un cast stellare, con Nicholas Chavez e Cooper Koch che interpretano rispettivamente Lyle ed Erik Menendez, mentre il premio Oscar Javier Bardem veste i panni del padre José Menendez. Chloë Sevigny interpreta Kitty Menendez, la madre dei due ragazzi, e Nathan Lane ricopre il ruolo del giornalista Dominick Dunne. Tra gli altri attori coinvolti ci sono anche Dallas Roberts nel ruolo del Dr. Jerome Oziel e Leslie Grossman in quello della sua amante Judalon Smyth.


La storia vera che ha ispirato la serie “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”


A ispirare la serie, come nel precedente capitolo dedicato a Jeffrey Dahmer, è anche questa volta una storia realmente accaduta:


La vicenda risale al 1989, quando Lyle ed Erik Menendez, due fratelli, urono arrestati e successivamente condannati per l’omicidio dei loro genitori, José e Mary Louise “Kitty” Menendez. Gli omicidi si consumarono nella lussuosa villa della famiglia a Beverly Hills, dove i due fratelli, armati di fucili da caccia, colpirono brutalmente i genitori. José venne ucciso con un colpo mortale alla nuca, mentre Kitty fu colpita più volte, anche al volto, in un’esecuzione efferata che scosse profondamente l’opinione pubblica. Subito dopo il duplice omicidio, i fratelli rimasero in casa, in attesa dell’arrivo della polizia, fingendo di essere stati al cinema mentre il crimine avveniva. Questo tentativo di costruirsi un alibi iniziale non impedì che, nei mesi successivi, le autorità iniziassero a sospettare di loro a causa dello stile di vita sfarzoso e apparentemente spensierato che adottarono dopo la morte dei genitori. Lyle ed Erik cominciarono a sperperare l’ingente patrimonio ereditato in articoli di lusso, viaggi, automobili e persino nel tennis professionale, attirando ulteriormente l’attenzione su di loro.


Il punto di svolta nel caso arrivò quando Judalon Smyth, amante dello psicologo di Erik, Jerome Oziel, rivelò alla polizia che Erik aveva confessato gli omicidi durante una seduta di terapia. La polizia, grazie a questa rivelazione e alle registrazioni delle sedute, arrestò i fratelli nel marzo del 1990. Da lì iniziò una battaglia legale incentrata sull’ammissibilità delle registrazioni, dato che le confessioni erano state fatte in un contesto terapeutico.


Il processo catturò l’attenzione del pubblico per la sua durata e per i dettagli scioccanti che emersero sulle dinamiche familiari dei Menendez. I fratelli affermarono di aver agito per legittima difesa, sostenendo che dietro la patina di famiglia benestante e rispettabile si nascondesse una realtà di abusi fisici, emotivi e sessuali perpetrati soprattutto dal padre José. La loro difesa puntava a far emergere gli abusi come causa scatenante del loro gesto estremo.


Il processo Menendez si trasformò in un evento mediatico senza precedenti, trasmesso in televisione e seguito in tutto il mondo. La narrazione si divise: da una parte c’era l’immagine di due giovani vittime di abusi, dall’altra quella di freddi assassini mossi dall’avidità e dal desiderio di impossessarsi dell’eredità familiare. L’accusa, rappresentata dai procuratori, descrisse i fratelli come calcolatori che avevano pianificato l’omicidio con l’unico scopo di ottenere la ricchezza dei genitori. La difesa, al contrario, costruì la propria strategia sul trauma vissuto dai due ragazzi e sulla costante paura per la propria vita, sostenendo che i fratelli avevano agito in uno stato di disperazione psicologica.




Alla fine, nel 1996, Lyle ed Erik furono condannati per omicidio di primo grado e condannati all’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale. Il verdetto lasciò la società americana divisa tra chi riteneva che la condanna fosse giusta e chi, invece, vedeva nei due fratelli delle vittime di un ambiente familiare terribilmente tossico.


Oggi, i fratelli Menendez stanno scontando la loro pena in prigioni diverse, ma il loro caso continua a suscitare dibattiti, studi, documentari e ora anche serie televisive, come “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez”.


Foto: Instagram.