Il dibattito legato alla declinazione al femminile di alcune parole italiane sempre state al maschile è acceso da anni. A questo si è aggiunto quello che vedrebbe la neutralizzazione del maschile e del femminile verso una maggiore inclusione.
Chi se non l’Accademia della Crusca doveva trovare una soluzione a questi lunghi quesiti. Dopo la decisione di accettare il “Ma però”, la non traduzione di inglesismi come “Know how” e l’introduzione della parola “Ghostare”, oggi l’illustre istituto si è pronunciato anche sulla questione di genere nella lingua.
L’Accademia della Crusca promuove le professioni al femminile
La Crusca ha deciso: si potranno utilizzare “senza esitazioni” termini come la pubblica ministera, la presidente, la giudice, la questora e la magistrata. Una svolta dal punto di vista dell’inclusione per il genere femminile, dove queste professioni – fino ad ora – avevano soltanto la declinazione maschile.
La Crusca però ha ponderato con calma le sue decisioni e, se per il femminile c’è stato questo cambiamento, non ha accettato l’uso di asterischi e della schwa.
No ad asterischi e schwa
Non verranno accettati usi come “tutt*”, “car*”, “amic*” per evitare la declinazione o la ripetizione dei due generi. Anche la schwa dell’alfabeto fonetico internazionale non presente però in italiano, non verrà adottata per evitare la declinazione di genere.
Ecco come ha spiegato la Crusca: “La lingua è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di una priorità agli occhi di molti linguisti, e a esso la scrittura deve corrispondere il più possibile. La lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto. In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza – precisa la Crusca – di quello che effettivamente è un modo di includere e non di prevaricare”.
Anche l’articolo davanti al nome non verrà più usato, no a “la Meloni” o “la Schlein” ma anche “il Manzoni”, l’Accademia ammette che “questa opinione che si è diffusa nel sentimento comune (ndr. quella che fosse discriminatorio l’uso dell’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne”), per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto.”
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