Traccia numero 2, tra quelle uscite come singoli dall’album “The Unfectual Fire” degli U2, ad oggi “Pride (In The Name Of Love)” è una delle canzoni più popolari degli U2 benché, quando fu pubblicata, ricevette giudizi molto contrastanti.
Musicalmente composta nel 1983 durante un sound check del War Tour, il brano subì un profondo cambiamento per quanto riguarda il testo. Nata con l’intento di descrivere in chiave critica l’orgoglio del potere militare americano (all’epoca il presidente USA, era Ronald Regan), cambiò radicalmente quando Bono ebbe modo di leggere due libri che lo colpirono nel profondo, ovvero: “Let The Trumpet Sound: A Life of Martin Luther King, Jr.” di Stephen B. Oates da una parte e una biografia di Malcolm X dall’altra. La canzone venne dunque riscritta e da quel momento diventò un brano destinato a portare il pubblico ad una profonda riflessione sui diritti civili. Un testo importante, ma che non riuscì a soddisfare completamente Bono, che vedeva in quelle stesse parole qualcosa di ancora troppo acerbo. Eppure con questo brano – che sì, scalerà i vertici delle classifiche musicali diventando un successo commerciale – gli U2 non riusciranno a mettere d’accordo tutti tra chi da una parte vedeva in questa canzone una nuova svolta (commerciale) della band e da chi invece, ne vedeva l’espressione massima di un moralismo dal sapore altamente politico.
Della canzone esistono ben tre video. Diversamente da altri casi (sempre degli U2) la scelta di produrre più video non dipese da motivi editoriali quanto dal fatto che il primo videoclip non riuscì a soddisfare la band, che pensò così di affidare ad Anton Corbijn – il loro fotografo – una versione alternativa che fu girato all’interno di un seminterrato vicino all’aeroporto di Heathrow di Londra.
Immagine di copertina tratta dal videoclip